Il mondo del calcio non è quello di altri sport: perché passione ed identità ne hanno determinato gran parte del successo insieme alle fortune economiche dello stesso. E questi appaiono valori ancori forti seppur scalfiti dal trascorrere del tempo.

Il tentativo di formare una superlega fra club per diritto “divino” è nato e morto nel breve spazio di poche ore: rimangono con il “Ceferin” in mano i dirigenti che ne avevano propugnato e sviluppato l’idea: e cioè quella di un torneo privato dove le protagoniste fossero più o meno le solite e, dato fuorviante, senza quel criterio di meritocrazia che è il sale ed il senso compiuto di ogni competizione.

Club che spendono molto e sono così tanto indebitati fino a sfiorare il “default”: la pandemia ha tolto risorse in quantità industriale anche per la mancata riduzione delle spese e degli ingaggi agli stessi calciatori, e di conseguenza, si cercano tutte le strade possibili per salvare la nave che affonda.

Club oramai come aziende dove è da tempo impossibile declinare il concetto di sport all’uso corrente e dove si avverte in maniera spasmodica e necessaria la ricerca di trovare nuove risorse attraverso magari un autoproduzione con i ricavi non spartiti con altri soggetti,

La Superlega che è abortita sul nascere anche per le reazioni contrarie di tifosi, politici ed addetti ai lavori (in misura certo superiore alle aspettative dei promotori stessi) sarebbe stata, ad esser sinceri, un danno pure per il resto del movimento calcistico europeo con tornei nazionali sviliti sotto il profilo strettamente tecnico e con la rinegozazione dei diritti televisivi verso i quali i dirigenti si gettano, da anni, come belve che hanno odorato il sangue. Il fallimento del progetto avrà qualche conseguenza: a partire dalle posizioni personali dei dirigenti penso ad Agnelli, a Marotta, a Gazidis ed anche per i rapporti correnti dei club scissionisti verso UEFA e fifa che, detto fra di noi, non rappresentano sempre modelli di efficienza e serietà.

È probabile che la forzatura clamorosa proposta dalle società porti a una nuova “champion” più bloccata e magari con le famose “wild card” di ingresso per certi club che non ne possono restare fuori. Ma è tutto un discorso da vedere e siamo in attesa degli sviluppi futuri: rimane un indebitamento collettivo senza uguali ed una situazione che, per forza, costringerà tutti ad un bel ridimensionamento. Che non è poi detto che sia così negativo.