La probabile eliminazione della nostra nazionale da quello che sarebbe il terzo Mondiale consecutivo senza l’Italia non è che la punta dell’iceberg di un sistema calcio domestico oramai agonizzante.
Un sistema figlio di dirigenti troppo spesso inadeguati o addirittura partecipi dello sfascio per interessi personali; di settori giovanili trasformati in bancomat per tenere in piedi proprietà evanescenti; di sponsorizzazioni private che un tempo avrebbero fatto arrossire qualsiasi addetto ai lavori, ma che oggi sono parte del vivere quotidiano di questo ambiente.
L’ennesima vergognosa prestazione della Nazionale di Spalletti, che segue di appena una settimana l’umiliante finale di Champions League, non è dunque solo il risultato della pochezza tecnica in campo. È, piuttosto, lo specchio penoso di un intero sistema, che dalle categorie minori fino alla Serie A riflette gli stessi errori, le stesse nefandezze, la stessa decadenza strutturale. Non nascondiamoci.
Sarò più esplicito: quando a livello locale circolavano figure come i Giorgi, i Casprini, i Farolfi, i Losi, ma anche i Galassi, i Cortesi o i Del Buffa, l’intero movimento godeva di buona salute. Partendo dalla base, si costruiva verso l’alto. Merito e competenza non erano optional, e persino il calcio di terza categoria non era quella fucina di illusioni naufragate che oggi lo contraddistingue. Le classifiche venivano rispettate sul campo, non ribaltate a tavolino a fine stagione.
Ieri è arrivata la disfatta della Nazionale a Oslo, ma nello stesso giorno si sono consumati anche i fallimenti sportivi di Brescia, Lucchese e SPAL, con gli estensi precipitati nel giro di cinque anni dalla Serie A alla probabile Eccellenza.
Eppure, cosa si fa per cambiare? Poco o nulla. Gravina, nonostante una gestione a dir poco discutibile e numerose ombre extra campo, è stato rieletto con il 90% dei voti utili. E per il dopo Malagò al CONI si ipotizza persino il nome del “giovane” Franco Carraro, storico collezionista di poltrone, alla soglia degli 85 anni.
I soliti noti, insomma, al grido di “cambiare tutto perché nulla cambi”. E intanto il sistema continua a reggere una centinaia di squadre professionistiche, un’enormità che da tempo si sa essere insostenibile. Eppure, a caldo, già si parla di ripescaggi, per favorire amici ed elettori di turno.
Solo una visione chiara, che guardi oltre gli interessi personali e sia davvero al servizio della collettività, potrà — forse — riportare questo sport su una strada migliore. Ma oggi, più dei risultati sportivi, è il risanamento morale a essere prioritario.