False promesse naufragate nei più biechi interessi di parte hanno contraddistinto la politica calcistica negli ultimi decenni.
Gabriele Gravina, eletto a larghissima maggioranza alla presidenza della federazione, è chiamato ad un cambio di passo nell’interesse di tutti e per non affondare definitivamente.
La vera riforma dei campionati appare inderogabile, una riforma basata sulla sostenibilità generale e sulla competitività reale.
Il professionismo allargato non è più praticabile, tanto più in una situazione già tragica e resa ancor più difficile dall’ emergenza sanitaria.
60 società prof sono forse il numero massimo consentito al nostro paese e, cioè, tre serie a girone unico nazionale sulla scia di ciò che da anni ci propongono per esempio Inghilterra e Francia. Si potranno chiamare serie A, B1 e B2 ma la sostanza non cambia: oltre questo perimetro un semiprofessionismo diffuso che coniughi le possibilità economiche e le legittime ambizioni delle società sportive.
L’esempio di come il calcio abbia perso credito e competitività da un bel po’ di tempo è testimoniato dalla situazione delle nostre due società più rappresentative nella vallata. Prendiamo il Montevarchi che in questo momento gode di una maggiore solidità: i rossoblù hanno dalla loro storia e seguito ma sanno benissimo che un passaggio di categoria con questi vincoli e lacci li metterebbe in difficoltà. Ed ecco allora spuntare come funghi club di poca tradizione e di punto appeal che godono magari per qualche anno dell’improvvisato imprenditore usa e getta. Ma questo, se allarga il campo delle probabilità, svuota sempre più il calcio da quello che dovrebbe essere il motore o meglio il carburante per andare avanti e cioè passione popolare e interesse diffuso.
Anche i calciatori devono oramai rendersi conto per primi come solo con una vera riforma potranno essere garantite in futuro stabilità e certezza. Tenere lo status quo significa solo vivacchiare in attesa di una fine sicura.

Nella foto, Leonardo in versione azzurra visto dalla figlia Talita