Di Leonardo De Nicola

In una società civile si chiede e ci si augura il rispetto delle regole. Ma nel calcio italiano forse proprio la mancanza di regole o almeno un approccio diverso possono garantire la sopravvivenza alle società di Serie C e anche di Serie B. Rewind please oppure la vecchia carta carbone prego, visto che i nostri articoli estivi sulla materia sono da anni perfettamente uguali. Fallimenti e personaggi che definire discutibili è poco la fanno da padrone in uno sport che di professionistico ha solo il nome e qualche regola puntualmente disattesa. Ma si continua altrettanto puntualmente ad imbarcare acqua nella nave che affonda, altro che riforma e riduzione solo annunciata delle squadre. Da tempo siamo al paradosso di come campionati e gironi siano più dettati dalla giustizia ordinaria che non dai risultati ottenuti sul campo, leggo che Avellino e Picerno hanno avuto problemi di non poco conto. E così il tifoso va allo stadio con una sola certezza e cioè quella che il risultato ottenuto sul campo non certifica la collocazione della propria squadra nella stagione successiva. E senza considerare come una Serie C autentico buco nero del pallone finisca poi alla fine per tarpare ali e sogni a piazze importanti come le nostre che, allo stato attuale delle cose, non potrebbero mai aspirare alla categoria superiore.

In Italia sono falliti 184 club dal 1986 ad oggi, alcuni persino 3 volte in 11 anni come la Lucchese. La Toscana con 22 squadre guida questa triste classifica, si va dalla Pistoiese di Dromedari nel 1988 alla Lucchese di questi giorni passando per il Livorno, due volte il Pisa, l’Arezzo due volte, il Grosseto che ha fatto il bis ma anche il Siena, il Poggibonsi, la Massese, il Viareggio, la triade valdarnese Sangiovannese – Montevarchi – Figline. Se la memoria non mi inganna solo Empoli, Prato e Carrarese hanno sino ad ora evitato l’onta del fallimento sportivo, un elenco da brividi ma che, a quanto pare, non sposta di una virgola il modo di ragionare e di programmare la struttura. Che dovrebbe avere poche regole e molto buon senso. Si potrebbe abolire i minimi di stipendio vigilando se i pagamenti fossero effettuati con puntualità pagando poi una quota di iscrizione più bassa rispetto all attuale che è spesso il frutto di fidejussione truccata con dubbia copertura o provenienza. Si potrebbe fare tutto solo se se ne avesse voglia ed invece…..ripescaggi e calderone di nuovo pieno in attesa dei prossimi fallimenti. Che dovrebbero comunque fare ripartire le nuove società dall’ultima categoria dilettantistica perché anche il giochino di perdere la serie C per ripartire puliti dalla categoria inferiore oramai ha stancato e parecchio.

PS: i personaggi discutibili abbondano nel calcio di casa nostra perché la struttura attuale del professionismo ad ogni costo favorisce queste figure. Laddove ci fossero norme meno restrittive e un calcio diverso le società recuperebbero dirigenti e uomini per bene.